Questa benedetta educazione
- tessuto_educativo
- 29 giu 2020
- Tempo di lettura: 5 min
Giovanni -

“Mi raccomando, sii educato con gli altri”
“Antonio, ma guarda quello che maleducato”
“Ti dirò, Maria, al giorno d’oggi non c’è più educazione”
Quante volte sentiamo queste frasi, nelle occasioni più disparate e dalle persone più diverse. Cos’hanno in comune? Sulla base di ciò che scrive Caronia (2011), due aspetti:
La convinzione che esiste un qualcosa, nel mondo, che risponda al nome “educazione”
Un’idea generale e più o meno condivisa su che cosa sia
Ognuno di noi ha avuto esperienza di educazione, e possiede una sua idea sull’argomento in questione. Il concetto è ampio, polisemico, pieno di sfaccettature, e provare a dire una volta per tutte di che cosa si tratta sembra un’impresa impossibile… e che crediamo inutile, a volte.
Eppure ognuno di noi, chi nella sua vita privata, chi nel suo agire professionale, si muove seguendo in modo implicito o esplicito la “sua” concezione di educazione.
In che modo possiamo parlare di educazione?
Teoria e pratica
Proviamo a fare chiarezza, quindi, su un fenomeno così sfuggente e complesso, eppure così fondamentale e decisivo per la nostra vita e quella degli altri: siamo stati educati e siamo “produttori” di educazione a nostra volta.
Iniziamo con una piccola e necessaria premessa: l’intento di questo articolo non è tentare di dare una definizione univoca di educazione, né tantomeno giungere a costruire una teoria pedagogica o descrivere le competenze per una precisa professionalità educativa.
Ciò che vorremmo fare è riflettere su come noi agiamo educativamente e sullo sfondo che sta dietro al nostro comportamento: perché io agisco in un certo modo? Che cosa mi influenza nella vita quotidiana? Sono alcune domande a cui tenteremo di dare una risposta.
Questo lavoro credo sia importante per molti motivi, primo fra tutti la nostra responsabilità educativa verso coloro di cui ci prendiamo cura: abbiamo il dovere di rispondere alla loro chiamata, e di farlo il meglio possibile.
Ciò significa non fossilizzarsi e stare fermi sul proprio modo di pensare e agire quotidiano, ma riflettere continuamente, aggiornarsi, interrogarsi sulle proprie pratiche e sui nostri valori guida.
L’educazione come scienza
Si può parlare di educazione come se si trattasse di fisica, medicina, psicologia, e di tutte le altre scienze?
L’educazione è sempre stata una tematica trasversale e presente fin dalla nascita del pensiero occidentale nell’Antica Grecia: tutti i più diversi pensatori nelle loro riflessioni si sono occupati, in modo diretto o indiretto, di educazione.
Con la nascita del pensiero scientifico, iniziato nel ‘600 con Cartesio e Galileo, il dibattito sulla possibilità di trattare il fenomeno educativo come un fenomeno scientifico si è esteso ed è arrivato fino ad oggi. La scienza si può occupare di educazione? E che tipo di scienza? Quale conoscenza può essere costruita?
L’interrogazione epistemologica, che ha alle sue basi proprio queste domande, è ancora ben presente nei nostri tempi: sembrano domande apparentemente teoriche, ma in realtà sono fondamentali per le decisioni concrete che prendiamo ogni giorno.
Le basi teoriche sono le cornici all’interno delle quali inseriamo le nostre azioni.
Non è possibile rispondere in maniera esauriente in questo breve articolo, ma qualcosa si può dire:
Non esiste una divisione tra scienze della natura (es. fisica, chimica…) e scienze dello spirito (es. pedagogia, sociologia…). Il mondo naturale e il mondo umano sono caratterizzati dalle stesse problematiche e dagli stessi rischi (e se ci pensiamo bene, come si può davvero dividere uomo e natura?)
Ogni scienza, anche quella che si professa più oggettiva e imparziale possibile, parte da alcune premesse indimostrabili (se vuoi approfondire, vai al nostro precedente articolo)
Quindi sì, si può parlare di educazione in modo scientifico, senza cadere nel classico relativismo in cui tutto vale allo stesso modo. Ciò che conta davvero sono i vertici da cui partiamo per costruire “le cose” (Caronia 2011): il bambino che piange, il sasso che cade, il/la ragazzo/a che non ascolta…
Perché farlo? Perché siamo costantemente alla ricerca di un modello a cui fare riferimento. Alla base della nostra azione educativa c’è la preoccupazione per chi abbiamo di fronte: aver cura di una persona non sta solo nelle azioni che vengono compiute, ma anche (soprattutto) nelle motivazioni e nel senso che colorano il nostro comportamento.
Gli occhiali educativi
Motivazioni e senso, dunque, sono gli elementi che risultano decisivi: infatti danno origine al nostro “metodo,” ovvero il procedimento che mettiamo in atto per realizzare le finalità e gli obiettivi che ci siamo prefissati di raggiungere.
Acquisire consapevolezza degli scopi profondi e delle cornici di senso che orientano il nostro agire non è affatto facile, e per nulla scontato: sono gli occhiali che influenzano in modo profondo il nostro modo di relazionarci con gli altri. E molto spesso li indossiamo in modo inconsapevole.
Proviamo a vedere quali possono essere.
Visione di educazione
“Per educare è necessario lasciar libero il/la ragazzo/a”
“La cosa più importante è dare il buon esempio”
Come io penso l’educazione è il primo di questi occhiali: il mio modo di intendere il ruolo di genitore ad esempio, oppure di educatore; così come le regole che devono essere rispettate o le cose importanti da fare.
Come io vedo (immagino) l’educazione ha un fortissimo “imprinting” sul mio agire quotidiano.
Visione di “essere umano”
“Devi pensare prima di tutto a te stesso, poi agli altri”
“La cosa più importante è il rispetto”
“A scuola ciò che conta è il voto”
Sono alcuni messaggi che vengono comunicati e trasmessi da persone e dalla società: si tratta di parole ad altissimo contenuto educativo, che trasmettono una certa idea di come deve essere un uomo, una persona.
L’ideale che abbiamo agisce nel nostro modo di educare: è un occhiale che dà origine a quei valori di riferimento che servono per orientare quotidianamente chi sta attorno a noi.
Storia personale
Ognuno di noi ha una sua storia, particolare e unica. Ciò che abbiamo vissuto si riflette nel nostro comportamento presente, e questo vale anche per l’aspetto educativo: le esperienze passate, gli stili educativi dei nostri genitori, le pratiche compiute e/o interiorizzate…
Sono tutti elementi che vanno a comporre un altro occhiale che usiamo per agire nel qui ed ora.
Cultura
La lezione della sociologia è che l’uomo non è un’isola: è inserito in un contesto da cui viene influenzato e dentro il quale può muoversi, con limiti e possibilità, ma che allo stesso tempo può contribuire a costruire, accettando o modificando tali vincoli e spazi.
Questo contesto si chiama cultura.
Il nostro modo di educare è profondamente radicato nella nostra cultura di appartenenza, con i suoi valori, pratiche, visioni del mondo: diventa un occhiale molto potente che indossiamo quasi senza accorgerci, e che replichiamo attraverso il nostro comportamento quotidiano.
Un esempio è l’immaginario che abbiamo dell’infanzia, se siete interessati abbiamo scritto un articolo.
Una, nessuna e centomila educazioni
Visione di educazione e di essere umano, storia personale, cultura: sono alcuni dei nostri occhiali e costituiscono il nostro sguardo sulla realtà; sul nostro modo di fare educazione, di relazionarci con un bambino, un adolescente o qualsiasi altra persona abbiamo di fronte a noi; sui valori che vogliamo trasmettere.
Questi quattro aspetti danno forma al nostro stile educativo e lo caratterizzano, rendendolo differente e particolare rispetto agli altri. Allo stesso tempo sono il terreno in cui è possibile il confronto e il dialogo, la ricerca e lo studio.
Parlare di educazione è possibile se prendiamo in esame questi quattro fattori: discutere di una scelta e/o un intervento educativo ha senso e diventa arricchente se andiamo ad interrogarci sulle premesse da cui è scaturita la mia azione.
Come io penso l’educazione?
Come io credo debba essere una persona?
Quale è la mia esperienza passata che influenza il mio comportamento?
In che modo la cultura orienta il mio agire?
Non arriveremo mai a definire una educazione valida per tutti, ma avremo fatto qualche passo in avanti: educare non sarà più un grande chaos dove ognuno agisce secondo la propria modalità e a proprio piacimento, dove ci sono centomila e quindi nessuna educazione, ma sarà invece la cornice comune dentro cui ognuno può dipingere secondo il proprio stile e le proprie caratteristiche.
Entra qui in gioco la questione del metodo, che sarà oggetto di un prossimo articolo.
Stay tuned!
PER APPROFONDIRE:
Caronia L., Fenomenologia dell’educazione. Intenzionalità, cultura e conoscenza in pedagogia, 2011, FrancoAngeli Editore
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