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Le competenze relazionali e comunicative nelle professioni educative

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    tessuto_educativo
  • 1 set 2020
  • Tempo di lettura: 6 min

Angelica -


La fatica del post-lauream



Noi professionisti laureati in educazione conosciamo bene la sensazione di incertezza presente dopo la laurea. Specialmente se ci siamo concentrati nello studio senza aver potuto dedicare del tempo ad una formazione sul campo, è probabile che ci siamo sentiti impreparati al mondo del lavoro, carichi di teoria ma distanti anni luce dalla pratica.

A mio avviso, le due fatiche più grandi riguardano: -la difficoltà di tradurre in pratica la teoria studiata; -la complessità di agire comunicativamente e relazionalmente in modo adeguato.


Quest’ultimo punto è sicuramente difficile a causa della natura stessa delle competenze comunicative e relazionali. Sono, difatti, competenze sempre in costante evoluzione, che richiedono presenza, energia e attenzione ad un livello costante ed elevato. Sono, inoltre, fondamentali per la riuscita stessa dell’intervento educativo. Non basta ciò, spesso durante i corsi di laurea non vengono insegnate, potenziate o non vi si dedica alcun momento pratico.


Riporto qui, a titolo esemplificativo, un passaggio di un libro di un pedagogista che si occupa di consulenza pedagogica, che ben descrive la difficoltà nel passaggio al lavoro sul campo:


"[..] quindici anni fa, ho incontrato il mio primo utente dal vivo. Dico dal vivo perché fino al momento in cui ho stipulato il mio primo contratto con una cooperativa sociale per la quale svolgevo un s.e.t. io, con un utente vero, non ci avevo mai scambiato una parola. Forte del mio bagaglio teorico derivato dagli studi universitari mi sono trovato catapultato nel mondo reale del lavoro senza nessuna competenza comunicativa, se non quella dettatami dal buonsenso. [..] E quindi giù con i tentativi, con le prove ed errori. E a tante prove sono corrisposti tanti errori."

Cavagna, 2015


Quanti di noi si rivedono in queste poche linee?

In questo articolo mi occuperò unicamente della questione relativa alle competenze relazionali e comunicative che sto approfondendo nella mia tesi di laurea, cercando di delineare un quadro sintetico di esse, una sorta di cassetta degli attrezzi dalla quale partire per poi mettersi in gioco durante l’attività lavorativa.




L’importanza delle competenze relazionali e comunicative


La teoria è fondamentale, ma non poiché fine a sé stessa, ma nel suo costante dialogo e arricchimento con la pratica. Entrambe creano un circolo virtuoso, in cui una arricchisce l’altra, dando forma a un sapere spendibile nella quotidianità educativa.


Partiamo proprio dalla teoria per spiegare quanto le competenze relazionali siano fondamentali. Bertolini, principale esponente della fenomenologia pedagogica, individua tra le caratteristiche principali dell’azione educativa quello della relazionalità. Non si dà educazione, in altri termini, senza un rapporto con l’altro. Ecco così brevemente spiegato il perché di tale centralità delle competenze relazionali.

Eppure, nonostante il mondo pedagogico sia ben cosciente della centralità della relazione e della comunicazione, durante il percorso universitario è raro trovare una formazione in tal senso. Riguardo a tale fatto, Iori mette in guardia nel formare un operatore pedagogico che possieda solamente competenze tecniche e/o teoriche. Questo poiché:

"L’educatore, prima di essere un soggetto che sa tante cose (e che possiede le tecniche), è un soggetto (cioè un corpo, un mondo) in relazione. L’essere-nel-mondo e l’essere-con-gli-altri sono nuovamente le fondamentali ed insuperabili modalità che accompagnano ogni tecnica (e che non possono esaurirsi in una sola)."

Iori, 1988


Tale centralità della relazione, tuttavia, non vuole presupporre l’inutilità delle competenze tecniche o teoriche, che rimangono fondamentali. Semplicemente, in questo articolo ho deciso di non parlarne perché, durante gli anni universitari, esse trovano un ampio spazio.


Iniziamo quindi a vedere quali sono i principali blocchi e quali le principali risorse per instaurare una buona relazione e una buona comunicazione all’interno della relazione educativa.



Blocchi nell’instaurare una buona relazione educativa


Partiamo innanzitutto definendo cosa intendiamo per un buon clima relazionale:


"Quando parliamo di buon clima relazionale ci riferiamo a una condizione di apertura e fluidità nella comunicazione tale per cui le persone coinvolte percepiscano un reciproco interesse verso ciò che l’altro desidera esprimere sul tema: preoccupazioni, desideri, idee etc."

Negri, 2014


Quali sono i blocchi che si possono creare nell’instaurare un clima relazionale di fiducia, apertura e ascolto reciproco? I più comuni possono essere:


-L’ansia, da parte del professionista, di giungere ad una soluzione. Talvolta, infatti, si tende a non concentrare la propria attenzione verso la persona con la quale si instaura una relazione educativa, ma a “rimanere dentro la propria testa”, cercando di ragionare e trovare modi per offrire una soluzione rapida. Ciò ci distrae dall’offrire una presenza autentica. Inoltre, potremmo apparire distaccati e disinteressati.


-Giudicare. Per quanto possa sembrare semplice non giudicare, a parole, l’educando, siamo sicuri di riuscire a mostrare un linguaggio non-verbale che esprima lo stesso atteggiamento? Inoltre, siamo certi di riuscire a non giudicare la persona anche di fronte a comportamenti violenti o risposte sgarbate? Questo è sicuramente un compito non facile per il professionista, ed è una competenza che richiede un lavoro costante su noi stessi. E’ però una caratteristica fondamentale, poiché l’educando, sentendo di essere compreso e non giudicato riesce ad avere un atteggiamento di maggiore apertura nei confronti dell’educatore (Torri, 2019).


-Imporre il proprio punto di vista, senza rispettare i tempi dell’educando. Tale approccio porta l’educando a due possibili risposte: la ribellione o la sottomissione. In entrambi i casi la relazione venutasi a creare tra il professionista e l’educando non è una relazione di fiducia e apertura, ma di aperta sfida, in un caso, o di timore, nell’altro.


Abilità relazionali utili alla pratica educativa





Le abilità relazionali necessarie per instaurare una relazione aperta e flessibile sono numerose e possono variare da relazione a relazione. Tale condizione di apertura e fluidità nella comunicazione comincia ad essere messa in atto in un momento preciso: quello dell’ascolto attivo. Ne abbiamo delineato i tratti principali in un precedente articolo, vi rimandiamo ad esso per un maggiore approfondimento. In questo paragrafo propongo il punto di vista di Carl Rogers, psicologo statunitense di fama mondiale, e la sua rilettura in chiave educativa da parte di Ilaria Torri, educatrice, pedagogista e counselor italiana. Rogers fu uno tra i massimi esperti della psicologia umanistica. Il suo approccio alle consulenze psicologiche si basa su un approccio non direttivo nella relazione, basato su tre elementi: l’empatia, l’accoglienza e l’autenticità. Secondo Torri (e secondo il mio punto di vista) tali elementi sono fondamentali anche nella relazione educativa.

Vediamo perché e in che modo possano essere applicati:


1. Empatia: tale elemento è ben conosciuto nella pratica pedagogica. Si potrebbe definire come “la capacità di sentire nel profondo ciò che sta provando l'Altro” (Cavagna, 2015), senza però confondere il sentire dell’altro con il proprio. L’empatia è importante poiché ci permette di cogliere i vissuti degli educandi e capirne le cause sottostanti, essendo, quindi, più efficaci nel mettere in atto un aiuto concreto. Inoltre, grazie all’empatia, creiamo un legame vero e sentito da entrambe le parti. Sperimentare un legame empatico è significativo, per la relazione educativa, poiché: -l’educando, sentendosi compreso e ascoltato senza giudizio, darà fiducia all’educatore e verranno diminuite, in maniera significativa, le possibilità di atteggiamenti oppositivi; -il modo in cui l’educatore si rivolge all’educando può diventare il modo con cui l’educando si rivolge a sé stesso. Sentendosi ascoltato, sarà più incline ad ascoltare sé stesso e comprendere i propri bisogni.



2. Accettazione incondizionata: è quel tipo di atteggiamento, da parte del professionista, di apertura e accettazione totale dell’educando, anche e soprattutto nei suoi lati più problematici. Tale accettazione è fondamentale per creare un clima di fiducia e apertura. Come metterla in pratica? -utilizzando parole non giudicanti, come espresso in precedenza; -mettendo in dubbio i comportamenti e non la persona. In tal modo mostriamo accettazione incondizionata all’educando ma non convalidiamo atteggiamenti dannosi.



3. Autenticità e congruenza: si tratta di comportarsi, nella relazione educativa, come noi realmente siamo. In altre parole, si tratta di essere sé stessi. Ciò non significa non misurare le parole o essere senza filtri, ma semplicemente non porsi in relazione cercando di essere ciò che non si è, poiché esso sarà inevitabilmente percepito. Questo ha diversi benefici: -l’educatore risulta più credibile; -l’educando tenderà, allo stesso modo, a porsi in maniera autentica e senza maschere.


Questi tre elementi sono, a mio avviso, un importante punto di partenza e di riflessione per ampliare le proprie competenze relazionali e costruire delle relazioni educative vere e significative. Il pensiero di Rogers fa riferimento alla relazione d'aiuto tra psicologo e cliente, tuttavia trovo che gli elementi appena descritti siano fondamentali anche nella relazione educativa. Che ne pensate?





Per approfondire, propongo la lettura dei seguenti testi:


-Un libro che parla dell'approccio di Rogers applicato all'educazione: Ilaria Torri, Empatia, accoglienza, congruenza, Casa Editrice Kimerik, 2019.


-Un libro incentrato su un diverso tipo di relazione, quella tra psicoterapeuta e paziente, ma che può offrire spunti per la relazione educativa: Carl Rogers, La Terapia centrata sul cliente, Giunti Editore, 2013.

-Un libro specifico sulla consulenza pedagogica, che offre vari spunti sulla relazione e la comunicazione: Pier Paolo Cavagna, Manuale per il colloquio pedagogico di consulenza, 2015.

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