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L'arte dell'ascolto

  • Immagine del redattore: tessuto_educativo
    tessuto_educativo
  • 18 giu 2020
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 6 lug 2020


Angelica -





La comunicazione parte non dalla bocca che parla, ma dall’orecchio che ascolta. (Anonimo)

Quante volte vi è capitato di sentirvi meglio dopo una lunga chiacchierata con un amico? Magari il vostro amico non ha fatto nulla di speciale, per lo meno in apparenza, non vi ha dato consigli complessi, non ha analizzato la situazione e non ha risolto nulla. Eppure, vi sentite meglio.

Cosa è accaduto? Che tipo di ascolto vi ha offerto il vostro amico? È possibile allenare questo tipo di ascolto per poterlo riprodurre in altre situazioni e/o poterlo insegnare?

La buona notizia è sì: è possibile educare ed educarci all'ascolto.



Cos'è l’ascolto?


L’ascolto è una parte fondamentale dello scambio comunicativo. È il momento in cui volgiamo la nostra attenzione verso l’interlocutore, cercando di capire cosa ci vuole comunicare.


Ai fini della spiegazione, immaginiamo due situazioni opposte:

A) il nostro interlocutore ci chiede di andare a comprare il latte con la confezione rossa,

di una tale marca, posizionato in un determinato scaffale del supermercato.

B) il nostro interlocutore ci racconta di una giornata difficile che lo ha messo alla prova,

emotivamente e fisicamente.


Nella situazione A dovremmo applicare un tipo di ascolto “semplice”, attento alla comprensione e alla memorizzazione delle informazioni che ci sono date. La risposta che ci viene richiesta non richiede una grande elaborazione.

Nella situazione B dovremmo applicare un tipo di ascolto più complesso, definito “ascolto attivo”, cercando di accogliere, nel modo più adeguato possibile, le emozioni e le difficoltà del nostro interlocutore. Inoltre, la risposta che ci viene richiesta necessita di una elaborazione più complessa della precedente.

In questa seconda situazione potremmo incappare in errori che non ci permettono di fornire al nostro amico il supporto di cui ha bisogno. È però possibile apprendere ad ascoltare attivamente auto-osservando il proprio comportamento e tenendo a mente alcune semplici regole che verranno presentate qui di seguito.




Gli errori più comuni nell'ascoltare


Partiamo da un presupposto: nessuno di noi è in grado di prestare ascolto attivo in ogni situazione, per un lungo tempo e senza compiere errori. L’ascolto attivo richiede tempo, energie e fatica mentale.

Solamente chi lo fa per professione è tenuto ad essere preciso in questa abilità, per esempio i pedagogisti, gli educatori e gli psicologi durante l’attività lavorativa.

Non poter essere precisi e perfetti non esclude però la possibilità di migliorarci. Se vogliamo farlo, è necessario prima di tutto capire quali siano gli errori che commettiamo più frequentemente.

Ecco a voi il decalogo degli errori creato da Beretta e Fedel (citati da Negri, 2014):

  1. ascoltare con indifferenza: essere presenti fisicamente, ma ignorare l’interlocutore. La nostra azione si avvicina più al sentire che all’ascoltare.

  2. ascoltare in attesa: si ascolta in attesa di parlare. Il focus è sul nostro parlare, e non sull’ascolto dell’altro.

  3. ascoltare presuntuosamente: ascoltare pensando di aver capito, fin da subito, il senso di ciò che l’interlocutore ci vuole dire.

  4. ascoltare selettivamente: si ascolta solo ciò che ci conviene sentire, per esempio fatti che non scardinano le nostre convinzioni.

  5. ascoltare in modo autoreferenziale: si ascolta ricollegando tutto alla propria esperienza, non perdendo occasione per raccontare di sé. Non ci si mette nei panni dell’interlocutore.

  6. ascoltare superficialmente: si ascoltano solo dettagli superficiali del discorso, come per esempio ci si concentra sul tono di voce dell’interlocutore, non cogliendo la profondità del messaggio.

  7. ascoltare emotivamente: ascoltiamo filtrando tutto attraverso le nostre emozioni. Per esempio, se ci sentiamo in colpa, il messaggio verrà interpretato come un attacco personale.

  8. ascoltare ritualmente: ascoltiamo per il dovere di farlo, e non perché si è veramente interessati a farlo. Ad esempio: “mmh.. si, capisco.. Mi passi il sale?”

  9. ascoltare prestando attenzione ai fatti: si presta attenzione solo ai fatti raccontati e non al complesso mondo emotivo e di significati che sta dietro. Un esempio è dire: “Non mi sembra il caso di drammatizzare”, pensando solamente al fatto riportato e non ai significati più profondi che l’interlocutore sta cercando di trasmetterci.

  10. ascoltare distrattamente: si ascolta sotto l’influenza della fretta, della distrazione, della poca volontà di farlo.


Vi sarete certamente riconosciuti in alcuni modi di ascoltare. Non c’è da preoccuparsi, tutti ne mettiamo in atto alcuni a seconda delle situazioni. Perché facciamo questo? Perché questo tipo di ascolto ci consente un dispendio minore di energie rispetto all’ascolto attivo: non dobbiamo tollerare il silenzio, le incongruenze tra le nostre idee e quelle altrui, accogliere il diverso da noi e focalizzare la nostra attenzione in maniera esclusiva. Oltretutto, nella situazione A descritta prima, non è necessario applicare un ascolto attivo, per cui evitare tali modalità non è da considerarsi necessario. In una situazione simile alla B, al contrario, prestare attenzione al modo in cui ascoltiamo e allenarsi a compiere tale attività diviene una garanzia di successo per supportare al meglio un amico nel momento del bisogno, così come per migliorare le nostre relazioni lavorative o familiari.



Sette regole dell’arte dell’ascolto



Compresi gli errori, passiamo ora alle sette regole dell’arte dell’ascolto, create dall’antropologa Marianella Sclavi (2000). Queste sette regole ci consentono di capire come le incongruenze rispetto alle nostre aspettative, che scaturiscono dall'ascolto attivo verso qualcuno, diventano un’importante occasione di conoscenza dell’altro.



Eccole qui, fedelmente citate:


  1. Non avere fretta di arrivare a delle conclusioni. Le conclusioni sono la parte più effimera della ricerca.

  2. Quel che vedi dipende dal tuo punto di vista. Per riuscire a vedere il tuo punto di vista, devi cambiare punto di vista.

  3. Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo, devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva.

  4. Le emozioni sono degli strumenti conoscitivi fondamentali se sai comprendere il loro linguaggio. Non ti informano su cosa vedi, ma su come guardi [..].

  5. Un buon ascoltatore è un esploratore di mondi possibili. I segnali più importanti per lui sono quelli che si presentano alla coscienza come al tempo stesso trascurabili e fastidiosi, marginali e irritanti, perché incongruenti con le proprie certezze.

  6. Un buon ascoltatore accoglie volentieri i paradossi del pensiero e della comunicazione interpersonale. Affronta i dissensi come occasioni per esercitarsi in un campo che lo appassiona: la gestione creativa dei conflitti.

  7. Per divenire esperto nell’arte di ascoltare devi adottare una metodologia umoristica. Ma quando hai imparato ad ascoltare, l’umorismo viene da sé.

Da queste sette regole è possibile fissare alcuni punti fondamentali:

  • l’ascolto non è da intendersi come un atto passivo, ma come un atto attivo, come dice il termine stesso. Bisogna, infatti, attivamente applicarsi per arginare il rischio di imporre il proprio punto di vista, per riuscire a porsi nei panni dell’altro e per dare una risposta congruente ai bisogni dell’altro, non ai nostri. E’ proprio questo applicarsi attivamente che comporta un dispendio di energie.

  • nell’ascolto attivo bisogna tenere a bada l’ansia: l’ansia di fornire risposte, di arrivare a delle conclusioni, di non riuscire ad accettare punti di vista che minano le nostre convinzioni, di categorizzare i fatti ascoltati in rassicuranti schemi personali. Quando si ascolta non si pensa a ciò che si deve dire, a come risolvere la situazione o a come risultare brillanti: quando si ascolta è solamente necessario ascoltare.

  • i segnali più difficili da accettare, come le incongruenze rispetto alle proprie certezze, le emozioni contrastanti e i dissensi sono in realtà i doni più preziosi per apprendere l’arte dell’ascolto. Sono proprio le dissonanze e le incongruenze a spingerci a interessarci al mondo dell’altro, perché indicano un pezzetto di comprensione mancante. Se non ci fossero questi momenti non avremmo bisogno di applicare l’ascolto attivo.

  • bisogna concepire le emozioni non come un ostacolo ma come un alleato verso la conoscenza. Inoltre, esse ci informano su ciò che sta accadendo dentro di noi ma non sono mai le cause delle nostre azioni. In altre parole: "noi non siamo le nostre emozioni ma il dialogo con esse". Per esempio, un’emozione di fastidio relativa alle parole dell’altro può spingermi a giudicare e a chiudermi verso di lui; così facendo, reagisco alla paura con rigidità. La stessa emozione di fastidio può spingermi ad un’apertura: mi accorgo di ciò che succede dentro di me (fastidio) e mi apro all’altro per cercare di capire ciò che causa dissonanza e di riconoscere le differenze tra me e lui, rispettandole. In questo modo, reagisco alla paura con flessibilità e apertura. L’emozione di base è la stessa (il senso di fastidio); l’azione scaturita è diametralmente opposta.

  • interessarsi al mondo dell’altro significa anche assumere che l’altro abbia ragione e cercare di guardare ai fatti dal suo punto di vista. Ma attenzione, ciò non significa rinunciare definitivamente al proprio punto di vista, alla propria cornice di riferimento. Proprio come la Sclavi afferma: “Non si tratta di rinunciare ai propri giudizi, ma di risalire dai giudizi alle cornici (sia nostre che altrui) di cui non siamo consapevoli.” Per esempio, in una conversazione con mia nonna, entrambe possediamo una cornice, ovvero un modo di guardare al mondo, differente. Io guardo al mondo dalla mia cornice di persona nata negli anni ‘90, in una società globalizzata e abituata a viaggiare liberamente. Mia nonna possiede una cornice di una persona nata in anni di povertà, non abituata alla mia stessa flessibilità e ad una società così interconnessa. Se mia nonna reagisce con spavento alla mia scelta di partire in Erasmus in un paese lontano, potrei giudicarla o farla sentire sbagliata per i suoi sentimenti; altrimenti potrei accompagnarla a capire le mie cornici di riferimento, ovvero ciò che mi spinge a considerare quella scelta un arricchimento e non un potenziale pericolo.

Come specificato per il precedente decalogo, è impensabile pensare di applicare tali regole in ogni ambito della propria vita. Come la stessa autrice afferma, lo scopo è quello di:

“Rendervi consapevoli di cosa fate quando riuscite [ad ascoltare attivamente], in modo da permettervi di riflettere su queste dinamiche e darvi la possibilità di metterle in atto volontariamente ogniqualvolta lo riteniate necessario” (Sclavi, 2000)

Buon ascolto!




PER APPROFONDIRE:

Per professionisti dell'educazione: -Un libro sulla consulenza pedagogica con un capitolo dedicato a come relazionarsi con i clienti: "La consulenza pedagogica", a cura di Negri S. (2014)

-Un libro adatto per gli insegnanti o chiunque lavori con i bambini e i ragazzi: "La scuola e l'arte di ascoltare" di Sclavi e Giornelli (2020) -Un Kit interattivo pieno di attività per promuovere l'ascolto attivo tra professionista e bambini/ragazzi: "A tutti orecchi" di Landi e Malvestiti (Erikson)


Per tutti:

-La prospettiva di riferimento di questo articolo proviene dal libro "Arte di ascoltare e mondi possibili" di Sclavi (2000)

-Una prospettiva non centrata sull'ascolto attivo ma che propone concetti simili a quelli espressi nell'articolo è data dal libro "Le parole sono finestre [oppure muri] - Introduzione alla Comunicazione Non Violenta"di Rosenberg (1998)


Per i più piccoli:

Un piccolo video proveniente dal film d'animazione "Inside Out", in cui si nota la differenza tra un ascolto attivo (fatto da Tristezza) e un ascolto non-attivo (fatto da Gioia) https://www.youtube.com/watch?v=t-asXorVstM



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