top of page

Di che colore è la conoscenza?

  • Immagine del redattore: tessuto_educativo
    tessuto_educativo
  • 18 mag 2020
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 4 giu 2020

Giovanni -



Spesso, in educazione, ci chiediamo quale sia il metodo migliore. A volte siamo alla ricerca di idee chiare ed efficaci, in altre di tecniche precise da mettere in pratica; o più semplicemente, vorremmo qualche indicazione su come orientarci.


Di fronte a difficoltà o problemi educativi (che sia un bambino che fa i capricci o un adolescente che non ascolta, i casi possono essere tantissimi), ci poniamo diverse domande: non sappiamo come e cosa fare, nonostante i consigli di chi magari ha già vissuto o affronta esperienze simili alle nostre, nonostante ricerche su Internet oppure la lettura di libri dai titoli più disparati.


Come comportarci? La risposta non è facile, perché chiama in causa tanti e differenti aspetti. Cercheremo di capire quali sono, così da poter avere, finalmente, una risposta “certa”.




Cosa è scienza


“Di che colore è il mare?

Blu.

Questo è il tipo di risposta che chiediamo.”



Conoscenza e verità


Volere un metodo significa, innanzitutto, volere un riferimento sicuro, certo, affidabile, da mettere in pratica con la sicurezza che non ci porterà a fare errori, e riuscire così ad ottenere il risultato desiderato. Insomma, quello che vogliamo è un sapere scientifico.

Se una cosa è scientifica, allora posso essere sicuro che sia vera e affidabile al 100%. Ma è davvero così?


Ogni giorno escono articoli scientifici su un certo argomento, o studi su un altro, così come affermazioni dette da tal scienziato famoso. Sono vere? Possiamo dire che sono da verificare (sia da chi la legge, che dalla comunità scientifica). Sono affidabili? Sì e no.


Non è che la questione sia molto chiara. Proviamo a capirci un po’ di più.


Uno studio scientifico non è vero in assoluto. La conoscenza scientifica non è una verità inconfutabile. Facciamo un esempio: se io dico: “la causa di X malattie è un eccessivo consumo di carne, come ha dimostrato questo studio” cosa significa? Significa che, per le conoscenze attuali e gli strumenti a nostra disposizione, si è visto che il consumo di carne potrebbe aumentare il rischio di avere certe malattie.


Allora smettiamo di mangiare carne e saremo sicuri di non ammalarci? Purtroppo no. Posso mangiare carne ogni giorno e non avere nessunissima malattia, così come posso adottare una dieta vegetariana e ammalarmi.


Quello che lo studio dice è: abbiamo preso in esame alcuni fattori (consumo di carne e malattie) e abbiamo visto che potrebbe esserci una correlazione (ovvero un legame); in pratica, con le conoscenze di oggi possiamo dire questa cosa.


Ma non è detto che valga per sempre: può accadere che, in futuro, uno studio scientifico più avanzato osservi che la causa di X malattie sia in una particolare proteina o sostanza, presente nella carne così come, magari, in altri alimenti. O che sia la combinazione tra un numero Y di fattori che interagiscono con alcune Z sostanze presenti nella carne… e potremmo andare avanti all’infinito.


La sostanza è questa: una conoscenza scientifica è vera fino a prova contraria. E questo ragionamento dobbiamo applicarlo a qualsiasi ambito (che sia chimica, medicina, psicologia, fisica…) e a qualsiasi studio o articolo in cui ci imbattiamo.


Attenzione quindi, se io sono convinto che conoscenza scientifica sia uguale a verità assoluta (magari da sbandierare in discussioni come accade spesso), mi sto sbagliando.



Conoscenza e relativismo


“Solo che il mare non è sempre blu, anzi. Ma non è nemmeno falso che lo sia, a volte. Poi a dirla tutta non esiste nemmeno il blu, e i colori sono un effetto della luce sulle cose.

Anzi, sono l’effetto che il nostro occhio percepisce dell’effetto della luce sulle cose. E a dirla tutta, non tutti lo percepiamo uguale.”


Quindi la scienza e gli scienziati sono inutili? Non esiste nessuna verità e qualsiasi cosa io dica o pensi ha un valore relativo? Ogni cosa è uguale ad un’altra? Non proprio.


Anche se non esiste una conoscenza sicura al 100%, ciò non significa che io non possa fare affidamento su studi o informazioni che leggo o ascolto. La legge di gravità formulata da Newton è una legge scientifica che mi offre certe conoscenze, e che posso ritenere vera… certo, poi è stata ampliata e specificata meglio dalla teoria della relatività di Einstein, che mi ha offerto ulteriori precisazioni. Ma resta ancora valida… in un certo sistema di riferimento (in questo caso chiamato inerziale; per essere precisi la legge di Newton non vale per i sistemi di riferimento non inerziali, cioè ad esempio tra un viaggiatore che passa vicino alla Terra molto velocemente e, appunto, il nostro pianeta).


Ma in un certo contesto, e applicata a determinate situazioni (tra la famosa mela e la mia testa per esempio), posso avere una ragionevole certezza che la legge di Newton sia affidabile.


Ora, potrebbe essere che fra qualche anno quello che sto scrivendo non valga più; ma non è questo il punto. Ciò che voglio dire è che oggi, con gli strumenti e le conoscenze in mio possesso, in un determinato contesto, posso affermare qualcosa. E questo qualcosa può essere ritenuto vero (fino a prova contraria) e quindi affidabile: sia io come persona che la scienza possiamo conoscere, e costruire una base sicura su cui poggiare pensiero e azione.


Evviva.




Lo sguardo, ovvero il modo con cui mi rapporto alle cose


“Ma a questo punto vi siete già stufati, ci siamo già stufati. Stiamo anche un po’ perdendo la pazienza.

Facciamo che il mare è blu e amen.”


Per concludere il discorso: posso fare affidamento sulla scienza, e quindi sulla conoscenza, ma fino ad un certo punto. Bella scoperta. Ma quindi cosa devo fare? Come mi comporto?

Tra i vari aspetti, sono due quelli su cui vorrei porre la vostra attenzione.



Il punto di vista


Ciò che fino a questo momento ho cercato di dire è che, in qualsiasi ambito, c’è una scelta. Dietro al mio modo di vedere le cose, di osservare il mondo, c’è una persona (o una disciplina scientifica) che decide da che vertice partire.


È come il prisma che riflette la luce, da un unico fascio escono differenti raggi di diverso colore: sono io che scelgo il blu, oppure il rosso o il verde. Ogni scienza è un paio di occhiali (il buon vecchio Kant) che mi permette di vedere ciò che mi sta attorno in un certo modo.


Vedo alcune cose, ma non ne vedo altre; in ogni caso non vedrò mai tutto.



Il rischio della semplificazione


La conoscenza, anche se imperfetta, non è mai sbagliata. Ciò che ci fa cadere in errore, e quindi ciò che ci fa sbagliare, è la credenza che possa dare una spiegazione a tutto. Che basti uno studio, oppure una affermazione di un prestigioso scienziato, o anche la stessa disciplina, per darci tutto il necessario. Per darci la certezza di essere nel giusto, di sapere ciò che ci occorre e quindi agire nel modo corretto.


La risposta, per questi due aspetti, è semplice: fare attenzione da dove parto. In parole povere, da dove e soprattutto come scelgo di osservare ciò che ho di fronte: la mia conoscenza scaturisce dalle premesse che io scelgo (in modo consapevole o meno) e a cui mi affido. E avere la consapevolezza che non esiste una verità totale, ma una conoscenza parziale (parafrasando Edgar Morin).


È come fare una foto: da una parte scelgo cosa prendere in esame e cosa lasciare fuori, e dall’altra posso decidere da che angolatura coglierlo e applicare tanti filtri diversi che fanno apparire l’oggetto in modi diversi.



Ma l’educazione?


Siamo partiti chiedendoci come agire in un ambito educativo, e abbiamo parlato di tutt’altro.


In apparenza.


Ciò che è stato detto fino a qui vale anche per l’educazione. Anzi, a maggior ragione per l’educazione. Come io agisco dipende dalle conoscenze che io ho (in realtà non solo, ma magari ne parleremo un’altra volta); e le conoscenze provengono sia dalle idee che possiedo già, sia da ciò che vedo in quel preciso momento.


Ecco quindi la risposta: per non sbagliare devo chiedermi quale sia il mio sguardo sulla realtà. È la consapevolezza del mio punto di partenza, dei miei occhiali, che mi permette di ridefinire il mio punto di vista ed essere aperto a nuove prospettive.


Non è importante la correttezza del nostro sguardo, o meglio, non solo: ciò che più conta è la nostra capacità di capire che occhiali stiamo indossando, e di sperimentare lenti differenti. Questo significa saper vedere le premesse (idee, valori, convinzioni profonde) con le quali pensiamo l’educazione e agiamo.


Il nostro sguardo offre una possibile interpretazione, che può essere anche convincente ed efficace. Ma in ogni caso, mai definitiva.


Ma quali sono questi occhiali? E come facciamo a sceglierli?


Queste sono le domande a cui tenta di rispondere la pedagogia: se avrete pazienza e fiducia, potremo darvi anche queste risposte (forse).



Piccola annotazione a margine:


Questo articolo si inserisce in un dibattito ampio e complesso, e non pretende di esaurire nè tanto meno ha l’intenzione di fornire tutte le risposte alla questione: la riflessione epistemologica è di lunga data, e coinvolge differenti discipline e correnti di pensiero. Il nostro obiettivo è proporre il percorso di alcune teorie della conoscenza alla base del pensiero pedagogico contemporaneo, per offrire alcuni spunti di riflessione e una possibile pista orientativa.




PER APPROFONDIRE:



Caronia L., Fenomenologia dell’educazione. Intenzionalità, cultura e conoscenza in pedagogia, 2011, FrancoAngeli Editore


Karl Popper e il falsificazionismo, alcuni siti non esaustivi ma facilmente accessibili:


Il recente scontro tra neorealismo ed ermeneutica (esemplificato dal dibattito Ferraris vs Vattimo nei loro lavori)


Comments


bottom of page