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Quale sessualità per persone con disabilità intellettiva?

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    tessuto_educativo
  • 7 ago 2020
  • Tempo di lettura: 5 min

Arianna -




Negli ultimi anni un certo dibattito pubblico ha sfiorato una tematica che è stata ed è da molti considerata un tabù: la sessualità di persone con disabilità. L’attenzione sul tema è stata posta a partire dal disegno di legge 1442 del 2014, il quale ha proposto di introdurre in Italia il diritto alla sessualità attiva per persone con disabilità fisica o psichica. Questo diritto è sancito dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, approvata nel 2006 e ratificata in Italia tre anni dopo. La Convenzione ONU è il manifesto socio-politico di un nuovo approccio alla disabilità, che la Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute del 2001 affermava sul piano medico (se vuoi approfondire, ne abbiamo parlato qui).

Al di là del dibattito mediatico in senso stretto, che si è arroccato spesso su fronti contrastanti e non molto aperti al dialogo, questo disegno di legge si è rivelato un’opportunità per studi, ricerche e progetti. Queste ultime dimensioni, per quanto circoscritte, sono un grande passo in avanti per arricchire il pensiero e l’azione educativa di chi ha cura di persone con disabilità.

Con questo articolo cercherò di fare un po’ di chiarezza sull’argomento, in particolare mi concentrerò sulla sessualità di persone con disabilità intellettiva.



Sessualità stra-ordinaria: quando la sessualità si manifesta come problema


Chi ha cura di una persona con disabilità intellettiva è inciampato o, probabilmente, inciamperà nella sua dimensione della sessualità. Uso il verbo “inciampare”, perché la tendenza è proprio quella di non considerare questa dimensione fino a quando non si presenta come un problema. Una delle forme con cui si manifesta la sessualità nella persona con disabilità intellettiva è spesso quella del “comportamento problema” (ad esempio la masturbazione in luogo pubblico). Nel caso della masturbazione in pubblico il criterio che definisce la problematicità del comportamento è lo stigma sociale, cioè il fatto che l’azione sia disapprovata in quel contesto. Allo stupore e lo spavento per la scoperta che, quello/a che ancora consideriamo il/la “nostro/a bambino/a”, possa esplorare e provare piacere dal proprio corpo (in pubblico) segue la repressione del comportamento nei modi più disparati (purché siano efficaci). La repressione non sempre “funziona”, anche perché il comportamento problema può manifestarsi nella stessa forma dopo qualche tempo e in altri contesti, oppure può mutare forma ma persistere. La repressione non è mai la strada giusta da percorrere, eppure sembra l’unica possibile per l’intervento stra-ordinario. La repressione soffoca i reali bisogni che la persona espone con un determinato comportamento; molto più adeguato al benessere del singolo e al rispetto degli altri e dei contesti è infatti cogliere i bisogni sottesi e trovare insieme o fornire modalità comportamentali alternative per il soddisfacimento di quei bisogni (che tra l’altro, in rari casi sono meramente pulsionali).


La tendenza di evitare, negare e poi reprimere la dimensione della sessualità nella persona con disabilità è tuttavia diffusa sia tra i genitori che tra i professionisti della cura. Forse potrebbe essere interessante soffermarci a capire il perché ciò avvenga, in modo da arrivare ad ipotizzare una prospettiva e un modo di agire diversi rispetto a quelli delineati fino a qui.



Verso una sessualità ordinaria: i presupposti per un progetto di educazione alla sessualità


Uno delle barriere che più ci impedisce di pensare alla sessualità in modo ordinario, cioè con un progetto educativo condiviso e intenzionale sulla persona e non come un intervento straordinario per risolvere un problema del momento, è sicuramente l’idea di persona con disabilità che abbiamo. Siamo ancora qui. Le nostre idee sono anche frutto dell’immaginario collettivo in cui siamo immersi e purtroppo la rappresentazione sociale della persona con disabilità come malato da assistere o bambino da accudire risuona ancora molto nelle nostre menti, seppur attente, formate e aperte all’idea di disabile come persona con potenzialità, risorse, che cresce ed evolve.


Altra idea su cui è bene riflettere è la propria e personale concezione di sessualità: la sessualità è per te solo l’esperienza coitale o è anche affetto, relazione, conoscenza di sé, del proprio e altrui corpo, apertura e rispetto dell’altro/a, costruzione di significato e significati di sessualità che ognuno può fare su sé stesso/a, costruzione di una relazione affettiva e/o sentimentale con l’altro/a?


Pensare ad un progetto educativo per una sessualità “sostenibile” per la persona con disabilità non significa includere tutte queste accezioni, ma considerare le esigenze, le richieste e le capacità di chi si ha di fronte. L’importante è andare oltre la nostra visione del mondo al modo in cui la persona vive o può vivere la propria dimensione sessuale. Ricordiamoci sempre che la nostra visione, in questo caso della sessualità, è una delle visioni possibili e che è necessario anteporre i bisogni della persona di cui si ha cura.


Per fare questo è inoltre necessaria la conoscenza, ad esempio delle basi e delle implicazioni fisiologiche, psicologiche e culturali che riguardano la sfera affettivo-sessuale del contesto in cui l’intervento educativo viene progettato.


Questi presupposti sono necessari tanto per i genitori, quanto per gli educatori, insegnanti, ecc. Un progetto educativo risulta maggiormente efficace se il percorso è condiviso e, soprattutto, non si conclude al termine delle due ore di attività strutturate, ma continua in quella che lo psicoterapeuta e sessuologo Rovatti (2016) chiama educazione “incidentale”. L’educazione “incidentale” rappresenta tutte quelle occasione in cui i temi trattati ed esperiti durante le attività si incontrano nella vita quotidiana, sono momenti preziosi per testare e consolidare quanto appreso.



Alcune considerazioni sulla necessità dell’educazione alla sessualità


Molto viene fatto dai genitori e dai professionisti affinché la persona con disabilità possa acquisire nel proprio percorso di crescita sempre maggiori abilità. Eppure sembrano vuote di significato queste abilità se coltivate singolarmente e slegate da quello che una persona è nella sua quotidianità (e la sessualità è una dimensione di questo sé quotidiano, in quanto parte della vita della persona). Parliamo allora di Progetto di vita, ma ancora una volta, questo progetto raramente contempla l’educazione alla sessualità. L’educazione è fondamentale per la tutela e la promozione dei diritti umani, primo fra tutti il diritto di essere sé stessi integralmente, in tutte le dimensioni. L’educazione alla sessualità è inoltre strumento imprescindibile per la prevenzione, e non sto parlando del mero concepimento (non restiamo ancorati ad un’idea coitale di sessualità), ma della prevenzione in senso più ampio: se imparo a conoscere il mio corpo e arrivo a comprendere cosa voglio che la persona con cui sono in relazione faccia al mio corpo, se ho imparato a dire di no, allora sarò più tutelato/a, saprò cioè quando acconsentire e fino a che punto voglio arrivare; saprò inoltre dire e denunciare casi di comportamenti che hanno violato la mia volontà.


È difficile parlare di un tabù in modo profondo, è difficile ma è necessario per il benessere del singolo e della comunità. È difficile perché è complesso e complicato, sono tanti cioè gli aspetti da chiarire, molti di questi intrecciati tra loro e piegati su loro stessi. Con questo breve articolo abbiamo iniziato ad addentrarci in un mondo che ha ancora molto da dire, se sei interessato/a ad approfondire, scrivici. Potremo pensare di approfondire insieme il lato più “pratico” della questione in un altro articolo:

  • Cosa fare con comportamenti problema della sfera sessuale?

  • (Soprattutto) Ci sono esempi di progetti di educazione alla sessualità per persone con disabilità intellettiva?

  • Cosa pensano le persone con disabilità della sessualità e dell’educazione alla sessualità? I genitori? E gli educatori?

Attendo le tue riflessioni e le tue domande.




PER APPROFONDIRE:

  • Lepri C. (2011), Viaggiatori inattesi. Appunti sull’integrazione sociale delle persone disabili, Milano, FrancoAngeli

  • Rovatti F. (2016), Sessualità e disabilità intellettiva. Guida per caregiver, educatori e genitori, Trento, Erickson

  • Veglia F. (2005), Manuale di educazione sessuale, vol. 1 e vol. 2, Trento, Erickson









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