Le emozioni difficili nei bambini e nelle bambine
- tessuto_educativo
- 31 lug 2020
- Tempo di lettura: 7 min
Caterina e Viola -

In questo articolo ci soffermiamo su un tema tanto delicato quanto importante. Parliamo di bambini/e e di emozioni, e in particolare di emozioni difficili.
Perché “emozioni difficili”?
Ci riferiamo alle emozioni “difficili” perché l’aggettivo “negativo”, spesso associato a emozioni come tristezza, rabbia e paura non rende giustizia al loro ruolo. Benché si tratti di emozioni dolorose e perciò appunto difficili da affrontare, da accettare e controllare, in realtà anch’esse ricoprono un ruolo fondamentale nella vita dell’uomo.
[Per approfondire le funzioni e l’origine delle emozioni leggi l’articolo che trovi QUI]
Fra queste ritroviamo quelle che Fehr e Russel (1984) identificano come “famiglia delle emozioni del dolore”, ovvero tristezza, rabbia, delusione, paura, vergogna, invidia, gelosia, malinconia, le quali possono manifestarsi con più o meno intensità.
Tali emozioni, come dicevamo, vengono viste il più delle volte (soprattutto nella cultura occidentale) sotto un’ottica negativa, ovvero come qualcosa di ingiusto, che è meglio non provare, qualcosa da cui fuggire. Se noi adulti rifuggiamo il dolore perché da esso turbati, sicuramente riportiamo ancor di più tale ragionamento nei confronti dei bambini e delle bambine, nella paura che non siano in grado di sopportare questi sentimenti e nel desiderio che vivano un’infanzia coccolata e spensierata, priva di qualsiasi esperienza “negativa”.
Ecco quindi che emerge la tendenza adulta a voler proteggere questi esseri piccoli, fragili e indifesi da tali emozioni. In che modo lo facciamo? Da un lato cercando di evitare o di nascondere gli eventi che potrebbero causarle, dall’altro reagendo in modi diversi alla comparsa di tali sentimenti. Ad esempio, spesso tendiamo a negare le emozioni del/la bambino/a (nel tentativo di farle magicamente scomparire), a minimizzarle (ad esempio sostenendo che “non è niente, non fa tanto male”), oppure ad assumere su di sé i loro vissuti, fornendo subito la risposta/soluzione in modo da liberarli da un peso. Tutto ciò dipende anche dal fatto che vedere stare male queste piccole creature provoca in noi stessi disagio e dolore e vorremmo perciò evitare di affrontare tale situazione.
Il senso del dolore
Tuttavia, dobbiamo ricordarci ed essere consapevoli che il dolore è costitutivo dell’essere umano e, perciò, anche dei più piccoli. Le emozioni difficili sono parte del nostro patrimonio genetico ed evolutivo e sono necessarie all’adattamento e a rispondere all’ambiente, oltre ad essere parte del processo di crescita.
I bambini e le bambine possono incontrare le emozioni difficili in diverse situazioni: che sia la frustrazione per non riuscire a superare un ostacolo, la malinconia per qualcuno che è lontano, il dolore fisico per una caduta, l’invidia verso qualcuno che ha un gioco più bello, la tristezza per non poter giocare con l’amico del cuore e così via.
Naturalmente alcuni eventi sono più dolorosi di altri (come la morte di una persona cara, la malattia,...) ma ciò non toglie che anche gli altri sentimenti siano profondi e degni di essere ascoltati ed accolti.
Le esperienze dolorose possono acquistare significato e valore esistenziale solo se possono essere vissute, sofferte e poi processate in modo da dar loro un senso, non se vengono evitate!
Scrivono Schenetti e Guerra (2015) che:
“non siamo in grado di sollevare uno scudo che possa proteggere i nostri figli per sempre ed in ogni luogo. Non è nascondendo la verità che possiamo aiutarli a crescere”.
Comprendere e accettare il dolore del/la bambino/a è il primo passo per dare conferma al suo vissuto senza banalizzarlo e dandogli/le la possibilità di affrontarlo.
Se infatti il ruolo dell’adulto è anche fornire contenimento e regolazione esterna a emozioni sia positive che negative - in special modo nel primo anno di vita - ogni bambino/a riuscirà col tempo a sviluppare capacità autonome di fronteggiamento (le cosiddette strategie di coping).
La competenza emotiva
Anche se ancora inesperti per poter affrontare da soli esperienze e sentimenti dolorosi, i bambini e le bambine, se coinvolti e sostenuti, sono sufficientemente competenti per comprenderli, accettarli, condividerli.
Proviamo quindi a iniziare a pensare e a individuare nel bambino e nella bambina un soggetto competente, che è in grado di esprimere la propria capacità di giudizio, di elaborazione e assimilazione degli aspetti più significativi dell’esperienza.
La psicologia parla di “competenza emotiva” riferendosi ad alcune abilità che riguardano l’espressione, la comunicazione, la comprensione, la regolazione e il fronteggiamento delle proprie emozioni e di quelle altrui.
Durante la crescita i bambini e le bambine sviluppano varie capacità in ognuno di questi aspetti, riuscendo così a mettere in campo strategie per far fronte a emozioni difficili o condizioni stressanti, e, conseguentemente, a sentirsi emotivamente competenti (ad es. nella gestione della propria rabbia o frustrazione).
Tutto ciò è fondamentale non solo per il/la singolo/a bambino/a, ma anche per le sue relazioni: le competenze emotive sono infatti parte integrante delle competenze sociali e hanno quindi un impatto positivo sulle relazioni.

Cosa possono fare gli adulti?
Se la competenza emotiva è elemento fondamentale da sviluppare nei bambini e nelle bambine e le emozioni difficili sono costitutive dell’esperienza umana possiamo quindi provare a chiederci: cosa possiamo fare per aiutarli e aiutarle a gestire tali sentimenti dolorosi?
Partiamo da due presupposti. Il primo è che il sentimento di bambini e bambine, esattamente come per gli adulti, è sempre legittimo; ciò che non sempre è da validare sono le modalità con cui questo viene espresso. Se cioè ad esempio un bambino o una bambina, provando frustrazione, inizia a lanciare i giocattoli, è nostro compito accogliere la sua emozione ma non la modalità di espressione: “Capisco che sei arrabbiato/a, ma non voglio che lanci le macchinine (puoi trovare un’altro modo per sfogarti?)”.
Il secondo presupposto è che i bambini e le bambine provano le stesse emozioni degli adulti e che al massimo possiamo/dobbiamo ricordarci che non hanno ancora la consapevolezza ed il linguaggio adatto per comprendere ed esprimere le proprie emozioni.
In questo frangente il ruolo fondamentale degli adulti è quello di offrire quello che viene definito emotional scaffolding (sostegno emotivo).
Di cosa si tratta, e, soprattutto, come si attua?
Pur sottolineando nuovamente che non esistono ricette efficaci, possiamo dire che il primo fondamentale passo è offrire un riconoscimento ai sentimenti di bambini e bambine, e già questo spesso può contribuire a calmarli/le (come accade anche agli adulti) e far loro trovare, se necessario, delle soluzioni creative.
Presupposto al riconoscimento dei sentimenti è quello dell’ascolto autentico di questi. Una volta ascoltati e riconosciuti i sentimenti, è importante dare un nome ai sentimenti dei bambini e delle bambine, per aiutarli/le a identificarli e riconoscerli. Anche se i desideri dei/delle bambini/e risultano difficilmente realizzabili, ciò non toglie che essi possano essere riconosciuti tramite forme anche scherzose o divertenti (“Se potessi andrei a prenderti un camion pieno di tutte le cose che desideri per colazione!”).
Ricordiamo che un aspetto importantissimo è l’esempio che dà l’adulto: è quindi importantissimo che i genitori, per quanto possibile, mostrino le proprie emozioni e le nominino, in modo da offrire un vocabolario emotivo ai bambini e alle bambine.
Fra le modalità attraverso le quali avviene l’educazione o socializzazione emotiva si trova proprio il modeling, ovvero l’imparare osservando il modo in cui gli adulti di riferimento reagiscono ed esprimono le loro emozioni e ne parlano (ad esempio se l’adulto nasconde il proprio pianto o se invece lo manifesta).
Una seconda modalità attraverso cui avviene l’apprendimento della competenza emotiva, che ritroviamo in quanto detto prima, è il coaching. Questo avviene quando l’adulto insegna esplicitamente qualcosa ai bambini o alle bambine o suggerisce strategie di regolazione emotiva (ad esempio quando un adulto dice “se sei arrabbiato, prova a sfogare la tua rabbia facendo una corsa”).
Infine la socializzazione può avvenire attraverso la contingency, ovvero l’osservazione della reazione degli adulti di riferimento all’espressione delle emozioni (ad es. se un adulto mostra apertamente di non approvare una modalità di manifestare un’emozione, il bambino o la bambina che lo osserva sarà di conseguenza propenso/a a considerare quella modalità come non adeguata).
La funzione dell’adulto nell’esperienza delle emozioni difficili o dolorose di bambini e bambine è duplice: da un lato occorre fare contenimento alle emozioni del bambino o della bambina e allo stesso tempo è necessario attuare nei suoi confronti un supporto (scaffolding) che va gradualmente a ridursi, aiutando così i bambini a sviluppare una loro competenza emotiva.
Parlare di morte e malattia
Per concludere vorremmo dedicare uno spazio specifico ad uno dei temi più dolorosi: la morte e la malattia.
In passato la morte faceva parte delle esperienze di vita dei bambini e delle bambine: la morte, come la nascita, avveniva in casa e se ne faceva quindi esperienza già in età precoce. Oggi tendenzialmente le morti avvengono in ospedale, o comunque lontano dal contesto familiare e il tema sembra essere diventato un tabù.
Come affrontare l’argomento con i piccoli?
Per i bambini il primo incontro con la morte avviene più frequentemente quando muore un animale domestico o si perde un nonno. Accompagnare i bambini, senza nascondere loro ad esempio se il nonno o l’animale di famiglia è malato, e rassicurarli del fatto che ciò che è accaduto non è colpa loro (cosa che i/le bambini/e tendono a pensare) sono i passi fondamentali da compiere.
Ancora più delicato è il tema della morte di un coetaneo/una coetanea dei piccoli: anche in questo caso non possiamo fare finta che la tragedia non sia successa e che i bambini ne siano indifferenti o non abbiano capito; è perciò importante parlarne, con i tempi e le modalità a loro più consoni.
Elemento fondamentale è perciò la sincerità: essere sinceri con i bambini e le bambine non significa per forza narrare la verità nuda e cruda come la vediamo noi, ma spiegare la realtà con il linguaggio e le modalità che loro possono comprendere, quindi in modo semplice e chiaro.
Spiegare l’accaduto con metafore che fanno riferimento al dormire e/o alla partenza e al viaggio (“il nonno è partito per un lungo viaggio”, “Fuffi si è addormentato per sempre”) può portare i piccoli ad associare tali elementi alla morte e a far nascere sentimenti d'angoscia.
Ѐ necessario ascoltare e accogliere le domande e i dubbi dei bambini e delle bambine, rilanciando loro le domande per capire cosa pensano, ma anche prendendosi del tempo per poter rispondere loro in modo adeguato.
Possiamo quindi dire in conclusione che gli adulti hanno il diritto e anzi il dovere di parlare con i più piccoli del tema della morte. Questo percorso di conoscenza dell'argomento sarebbe utile iniziasse prima di una perdita, momento in cui è possibile che anche gli adulti siano coinvolti emotivamente e quindi meno pronti a sostenere e coinvolgere i/le bambini/e.
Trovare modalità di ricordo condiviso in famiglia, ad esempio dedicando un giorno all’andare al cimitero coi bambini ricordando le persone perse, oppure ricordandole attraverso delle foto o spazi dedicati, nonché affrontare il tema (anche a scuola!) attraverso canali intermediari (come ad esempio gli albi illustrati) sono spunti utili per affrontare un’educazione alla morte e alle emozioni dolorose che può essere di grande aiuto allo sviluppo dei bambini e delle bambine!
PER APPROFONDIRE:
- “Come parlare perché i bambini ti ascoltino & come ascoltare perché ti parlino” di Adele Faber e Elaine Mazlish, Mondadori, 2014
- “Il dolore dell’infanzia”, di M. Schenetti e E. Guerra, edizioni junior Spiaggiari, 2015
- Un’interessantissima discussione sul tema della morte (Death Education, cioè educazione alla morte). Alessia Dulbecco intervista Anna Spiniella
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