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Per una pedagogia dello spazio urbano: città di tutti e per tutti

  • Immagine del redattore: tessuto_educativo
    tessuto_educativo
  • 17 ago 2020
  • Tempo di lettura: 6 min

Arianna -


Ti è mai capitato di osservare e riflettere sui mezzi di trasporto più diffusi nella tua città? Sulle persone che li guidano o li prendono? Hai mai analizzato e riflettuto sul tipo di spazi pubblici che ci sono nella tua città? Quanti sono i parchi giochi? E le piazze in cui è possibile sostare per una interazione “lenta” con altre persone?


Per un blog che si occupa di educazione queste domande posso apparire inadatte o addirittura assurde. In realtà il significato di queste domande, e il senso che possono assumere le relative risposte, dipende dalla concezione di educazione e di cosa si crede possa influire nel creare educazione.


Se l’educazione ha a che fare con la partecipazione e il cambiamento e se, come molta della letteratura scientifica e delle esperienze sul campo dimostrano, lo spazio è un mediatore pedagogico (una sorta di strumento che concorre e facilita l’azione educativa), allora il significato dei nostri interrogativi appare subito più chiaro: lo spazio pubblico educa. A questo punto occorre chiedersi in che modo lo faccia, partendo da una riflessione su com’è oggi lo spazio urbano.



“Bimbi per strada?”

La condizione dei bambini nelle città


Lo spazio urbano, pensiamo alle strade, risponde alle esigenze di adulti produttivi: le strade sono progettate per collegare luoghi lontani nel più breve tempo possibile, soprattutto i luoghi del lavoro e del commercio; per tale ragione sulle strade la fanno da padrone i mezzi di trasporto inquinanti e su ruote (auto, bus, ecc.).


L’immagine della strada come spazio pubblico e democratico, di tutti e per tutti, sembra essere un ricordo lontano trasmesso alle ultime generazione dai nonni o da qualche vecchio film. Negli ultimi anni si è sempre più parlato di una degenerazione dello spazio urbano, progettato e utilizzato da persone adulte in uno stato di salute idoneo alla produttività. Se questo è lo spazio urbano di oggi, chiediamoci quindi quali sono le sue dirette conseguenze sulle categorie di persone più fragili, come ad esempio anziani, persone con disabilità e soprattutto bambini (categoria sulla quale ci concentreremo in questo articolo).


Il principale effetto è che la mobilità urbana delle categorie più fragili è difficoltosa e pericolosa, per cui viene ridotta e concessa solo su accompagnamento.

Il secondo è che per queste persone sono stati creati luoghi ad hoc: un esempio sono i parco giochi, una sorta di “serra” in cui i più piccoli si ritrovano solamente con i propri pari in aree limitate e limitanti, dove i giochi (per quanto belli e puliti) sono sempre gli stessi e impediscono una sperimentazione ludica dello spazio ed un reale incontro con quest’ultimo.

La difficoltà di utilizzare lo spazio urbano comporta anche: l’improbabilità di incontrare coetanei in luoghi extrascolastici e persone di altre generazioni, le limitazioni sulla creazione di giochi spontanei in luoghi per tutti, l’impossibilità di familiarizzare con ambienti reali.


Le ripercussioni sulla crescita e lo sviluppo del bambino e della bambina sono significative: lo sviluppo fisico e cognitivo viene rallentato, così come più lentamente si svilupperà l’indipendenza negli spostamenti e la conoscenza delle caratteristiche spaziali degli ambienti reali.

Oltre alle conseguenze sullo sviluppo del singolo individuo, lo spazio urbano così inteso influenza ed è allo stesso tempo effetto dell’idea di bambino/a che ha la società occidentale contemporanea: un soggetto passivo da proteggere.



Una nuova strada è possibile?

Idee per città a misura di bambino/a


A questo punto sembra immediato chiedersi come può una città diventare a misura delle categorie più fragili, in particolare i/le bambini/e e come possa rispondere ad una concezione di bambino/a come cittadino/a del presente, attivo e capace di essere influenzato/a e di influenzare l’ambiente in cui vive, esprimendo le proprie decisioni in un contesto accogliente e che prende in considerazioni le voci e le esigenze di tutti/e.

Il lavoro da fare per una città sostenibile su questi fronti si sviluppa in più direzioni, sono infatti necessari:


1. Modifiche strutturali delle strade, ad esempio con marciapiedi ampi che creano un percorso continuo, senza interruzioni;


2. Cambiamenti degli spazi pubblici al fine di renderli più stimolanti e inclusivi per le varie generazioni, ad esempio le piazze possono diventare luogo di incontro con una disposizione circolare delle panchine e l’inserimento di un campo di basket;


3. Crescita di una sensibilità nuova al rispetto delle norme della strada, ad esempio la precedenza ai pedoni;


4. Sviluppo di un’attenzione comunitaria alle categorie più fragili, ad esempio i negozianti possono mettere a disposizione dei pedoni il telefono in caso di necessità, dell’acqua, i servizi igienici;


5. Educazione stradale per i bambini e le bambine;


6. Aiuto ai genitori nella riduzione della percezione del rischio e nell’incentivare l’autonomia dei figli.


Queste idee sembrano utopiche, cioè difficilmente realizzabili in questo momento storico, eppure forse la situazione che stiamo affrontando può portare ad un, seppur leggero, cambiamento: pensiamo agli incentivi all’acquisto di biciclette e alla realizzazione di zone ciclabili e pedonali post lockdown.


L’utopia come orizzonte che muove e guida i nostri passi ha preso piede con il progetto “La città dei bambini”. Questo progetto nasce dal bisogno di rendere lo spazio urbano più democratico, più vicino cioè alle esigenze di tutti i cittadini (soprattutto delle categorie più fragili, come i bambini). Era il 1991 quando il pedagogista Francesco Tonucci riesce a realizzare a Fano la sua idea di promuovere il cambiamento del parametro di governo della città, coinvolgendo i bambini nel governo e nella progettazione della città. Il progetto ha quindi come naturale interlocutore il sindaco e la sua giunta. Nel documento di Passignano viene esplicitato cosa può essere il Consiglio dei bambini e delle bambine, ci sembra interessante riportare il terzo punto del documento:


Il Consiglio delle bambine e dei bambini non è volto all'apprendimento e alla sensibilizzazione dei bambini che vi partecipano, ma a dare risposte adeguate al mandato del sindaco e quindi è volto al benessere e al cambiamento della città. Ha quindi uno scopo squisitamente politico”.

Questo progetto rispecchia quindi l’approccio di una “Nuova Sociologia dell’Infanzia”, che vede i bambini e le bambine, non sono come cittadini/e del futuro, ma come soggetti politici del presente.


Inoltre il progetto concretizza alcuni dei diritti fondamentali enunciati dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989 (ratificata in Italia nel 1991), tra questi: il diritto a esprimere opinioni in merito alle decisioni che li riguardano e il diritto a essere ascoltati.


Uno dei punti fondamentali che viene sviluppato all’interno del progetto ideato da Tonucci riguarda le iniziative legate alla mobilità da casa a scuola, come: “A scuola ci andiamo da soli”. In alcune città, piccoli gruppi di bambini e bambine dello stesso quartiere vanno a scuola non accompagnati e con il supporto indiretto delle persone che abitano il quartiere: in caso di necessità il/la bambino/a può sostare e chiedere aiuto ad un negoziante che ha aderito al progetto e che è quindi disponibile ad aiutare.

Il progetto “La città dei bambini” ha avuto una larga diffusione, anche a livello internazionale.


Un altro progetto che ha per obiettivo la co-costruzione di uno spazio urbano democratico è quello realizzato nel quartiere Coriandoline a Correggio (in provincia di Reggio Emilia). In questo caso, infatti, non si parla di città, ma di quartiere a misura di bambini/e. Questo quartiere è stato realizzato dai bambini per i bambini. A partire dal 1995 e fino al 1999 sono stati coinvolti circa 700 studenti delle scuole primarie di Correggio e Saliceto, con l’aiuto della cooperativa di abitanti Andria, educatori, ingegneri, architetti ed artisti. Al timone di questo un gruppo di insegnanti e la pedagogista Laura Malavasi.

Il quartiere a misura di bambino è stato inaugurato nel 2008. Ogni casa rispecchia le esigenze abitative dei bambini, che sono state racchiuse nel Manifesto ideato dai partecipanti. La casa deve essere: trasparente, dura fuori, tranquilla, giocosa, morbida dentro, decorata, intima, grande, bambina, magica. Molti sono inoltre gli spazi dedicati ai giochi, come il calcio e il tennis.

Se ti capiterà di andare a visitare questo quartiere, ti consiglio di soffermarti sui dettagli come i campanelli, dove troverai scritti i nomi dei piccoli abitanti.


Questo progetto concreto sembra difficile da realizzare in altri contesti, eppure può fornire alcuni spunti di applicabilità anche per quartieri di altri comuni e utopisticamente per intere città. Primo tra tutti la necessità di ascoltare la voce di chi abita i luoghi per procedere ad una riqualificazione urbana significativa, attraverso iniziative di partecipazione che coinvolgano, con modalità differenti, tutti/e i cittadini/e. Solo dall’ascolto di più voci è possibile co-costruire uno spazio davvero per tutti/e.





PER APPROFONDIRE:

  • Baker C. (2017), Come garantire una vera partecipazione dei bambini e degli adolescenti? in (a cura di Toffano Martini E. e De Stefani P.), «Ho fiducia in loro». Il diritto di bambini e adolescenti di essere ascoltati e di partecipare nell’intreccio delle generazioni, Roma, Carocci

  • Baraldi C. (2008), Bambini e società, Roma, Carocci

  • Comitato sui diritti dell’infanzia (2009), Commento generale n. 12. Il diritto del bambino e dell’adolescente di essere ascoltato, Ginevra, UNICEF

  • Risotto A., Tonucci F. (1999), La mobilità come misura di democrazia della città, in: Medio ambiente y responsabilidad humana, Universidad de la Coruna, pp. 61-67


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